Ugo Pellis.
Il telaio - Villagrande Strisàili - inv. 3510 -
6 Dicembre 1934
Quinto viaggio
© 2009
Uomini e cose. Ugo Pellis. Fotografie
Sardegna 1932 - 1935
Museo delle Culture
5 Giugno – 13 Settembre 2009
«Uomini e cose. Ugo Pellis. Fotografie. Sardegna 1932-1935» è il
quarto appuntamento della fortunata serie di esposizioni temporanee del
ciclo intitolato «Esovisioni», che il Museo delle Culture dedica dal 2005 al
tema dell'esotismo e, in particolare, alle peculiarità e ai caratteri della
visione delle culture nell'opera dei grandi fotografi del Novecento.
Il catalogo e l'esposizione costituiscono il risultato di una ricerca durata
due anni che ha messo in rete le città di Udine -che ha inaugurato lo scorso
23 Gennaio la nuova Galleria fotografica comunale «Tina Modotti» nella
centralissima sede dell'ex Pescheria- Lugano e Cagliari, che accoglierà
l'esposizione negli spazi del Centro Comunale d'Arte e Cultura del «Ghetto
degli Ebrei» dal prossimo Ottobre. L’esposizione sarà poi a Torino nel
Febbraio 2010, nella sede del Rettorato dell’Università degli Studi.
La ricerca, guidata dal Museo delle Culture di Lugano, ha visto la
collaborazione organica di una decina d'istituzioni culturali italiane e
svizzere che hanno partecipato, a diverso titolo, alle diverse fasi del
progetto, permettendo -al più alto livello- il confronto e la crescita di un
gruppo di giovani ricercatori.
Il progetto «Uomini e cose» permette la ricostruzione filologica dei sette
viaggi che Ugo Pellis fece in Sardegna fra il 1932 e il 1935, acclarando la
levatura artistica del grande linguista friulano attraverso un'analisi
profonda e circostanziata della caratteristiche della sua visione
dell'«altro» e dei temi portanti della sua poetica.
Nel Dicembre del 1932, Ugo Pellis inizia un lungo viaggio di ricerca
attraverso la Sardegna, che lo porterà, nel volgere quasi ininterrotto di
tre anni, a indagare sistematicamente la struttura e le peculiarità della
lingua sarda, per la stesura del celebre Atlante Linguistico Italiano. Nel
corso del suo lavoro «nobilissimo ma gravissimo», in parte insieme alla
moglie Nelda, il filologo friulano visita 124 località diverse dell’Isola,
percorrendo a piedi, sul dorso di muli e sulle traballanti ruote d'una
Balilla donata dal Duce, migliaia e migliaia di chilometri, col suo carico
di album d'illustrazioni, di questionari filologici, di taccuini da campo e
di carte geografiche. Nel suo bagaglio anche un corredo di lastre
fotografiche (poi di pellicole) utilizzate per ritrarre la realtà che
circondava il suo universo di parole: uomini e cose che, nell'immaginario
dello studioso educato a Vienna e a Innsbruck, si configurano, all'inizio,
come una sorta di campionario di archetipi della «mediterraneità». Il suo
lavoro sul campo è attentamente pianificato e consiste nel trovare degli
epicentri linguistici e culturali distanti fra loro lo spazio di una mezza
giornata di viaggio disegnando così sulla carta della Sardegna
un'immaginaria fitta ragnatela di tratti culturali che costituisce ancor
oggi una delle immagini più cogenti dell'Isola, setacciata con l'animo del
filologo e con un'intima sensibilità d'artista.
Durante i tre anni di lavoro, un pò alla volta, il contatto umano e la
quotidiana indagine filologica gli permettono di capire la cultura sarda,
sempre più dall'interno. Le sue fotografie fanno così il paio con i
meticolosi questionari linguistici che egli impartisce alle centinaia di
suoi informatori: ne scaturisce un ritratto di enormi proporzioni
documentarie in cui immagini di un nitore talvolta inerme, e apparentemente
prive di intenti decorativi, riproducono il contesto lessematico e
l'articolazione interna del sistema/cultura ricalcandolo idealmente sul
sistema/lingua che emerge dal lavoro di ricerca sul campo, attraverso il
quale compone il suo Atlante.
Nella sua fotografia di «uomini e cose» c'è però molte volte qualcosa di più
di un ritratto: c'è il gusto di mettere in rapporto fra loro i volumi e le
forme; c'è il tentativo di restituire le sensazioni prodotte dai paesaggi;
c'è la ricerca dell'inquadratura capace di rivelare come le piccole cose
rimandino alle grandi, in un gioco sorprendente di miniaturizzazioni
culturali; c'è l'assonanza fra l'immagine fotografica e il mondo della
poesia e dell'arte; c'è la compassione per il mondo degli umili «che con
tutto il loro gergo furbesco non hanno trovato il modo d'ingannare la
miseria, che li sospinge raminghi di piazza in piazza, di strada in strada,
di stalla in stalla per un tozzo di pane»; c'è il tentativo di ritrarre
l'antico asserragliato nelle sopravvivenze e il moderno che inesorabilmente
avanza; c'è il gusto di ritrarre il «bello» di un mondo popolare che egli
sente dolorosamente prossimo al tramonto, c'è – in poche parole – oltre al
documento, l'arte.
Il percorso espositivo intende suggerire al visitatore un continuo gioco di
rimandi visivi fra gli oggetti e le persone ritratte indagati
filologicamente dallo studioso udinese. Si tratta di un percorso
sorprendente, dagli esiti antropologici e visivi tutt'altro che scontati.
Pellis ritrae col sotteso proponimento di rendere essenziali le cose e le
persone e così facendo, la sua fotografia, che è priva di un dichiarato
interesse artistico finisce, quasi paradossalmente, per esprimere il
paradigma di una visione culturale che, nella sua irriducibile volontà
analitica e nella sua scabra assenza di simboli, produce un modello
stilistico e dunque è arte. Un modello -fra l'altro- che si adatta
magnificamente alla semplicità e all'incantevole naturalezza dei paesaggi e
della cultura sarda.
L'esposizione restituisce un'immagine inedita della Sardegna, che aggiunge
nuove conoscenze a quanto scritto sinora sull'argomento, aprendo
significative prospettive per ulteriori ricerche. Tale restituzione è
avvenuta mettendo in valore il più ampio reportage realizzato nell'isola fra
le due guerre. Tra le 2.172 fotografie conservate dalla Società filologica
friulana, lo staff del Museo delle Culture con un lavoro di ricerca ha
selezionato 36 prime stampe d'arte riprodotte su carta baritata (formato
40×50 cm) a partire dai negativi originali.
L'allestimento dell'esposizione temporanea è curato da Giulio Zaccarelli,
Responsabile del Laboratorio di Conservazione e Museotecnica del Museo delle
Culture.
Accompagna la mostra un catalogo, edito da Giunti Arte Mostre Musei, a cura
di Alessia Borellini e Francesco Paolo Campione, con i contributi, oltre a
quelli dei curatori, di Lorenzo Massobrio, Stefano Perulli e Gian Franco
Ragno che permettono al lettore una visione multifocale e multidisciplinare
del tema della ricerca e dell'esposizione.
L'esposizione ha ottenuto il patrocinio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali italiano.
INFORMAZIONI ESSENZIALI
TITOLO UOMINI E COSE. UGO PELLIS
FOTOGRAFIE
SARDEGNA 1932 -1935
LUOGO E PERIODO Museo delle Culture, 5 Giugno - 13 Settembre 2009
ORARIO Martedì -Domenica 10-18 (orario continuato)
Lunedì chiuso
INGRESSO Adulti: Fr. 12.-/Euro 8
Ridotto: Fr. 8.-/Euro 5
Il biglietto comprende anche la visita all’esposizione permanente
VISITE GUIDATE Fr. 150.-/Euro 100
FUORI ORARIO Fr. 150.-/Euro 100
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI Tel. +41 (0)58 866 69 60
E-mail info.mcl@lugano.ch
Sito www.mcl.lugano.ch
IDEAZIONE Città di Lugano, Museo delle Culture
Società Filologica Friulana di Udine
PRODUZIONE E REALIZZAZIONE Città di Lugano, Museo delle Culture
PARTNER PER LA RICERCA E Associazione VicinoLontano, Udine; Città di
Cagliari, Assessorato alla
PER LE ATTIVITÀ ESPOSITIVE Cultura; Città di Udine, Musei Civici;
Fotostiftung Schweiz, Winterthur
Istituto dell'Atlante Linguistico Italiano, Torino; Società Filologica
Friulana
di Udine; Circolo Sardi Montanaru di Udine
OPERE 36 fotografie, formato cm 40×50
STAMPA DELLE FOTOGRAFIE Fotociol, Casarsa della Delizia (UD)
PROGETTI D'ALLESTIMENTO Civici Musei (Udine); Giulio Zaccarelli (Lugano);
Città di Cagliari
IMMAGINE COORDINATA Valeria Zevi
UFFICIO STAMPA Sabina Bardelle
Servizio informazione, comunicazione e PR
Città di Lugano, Piazza Riforma 1, 6900 Lugano
Tel: +41 (0)58 866 70 90
Fax: +41 (0)58 866 71 03
E-mail: sbardelle@lugano.ch
CATALOGO
Uomini e cose. Ugo Pellis. Fotografie. Sardegna 1932 -1935
Edito da Giunti Arte Mostre Musei (GAmm), Firenze
Formato cm 26,5×22,5; 224 pp.; Fr. 60.-/ Euro 40
Collana: Esovisioni/4
Curatela: Alessia Borellini e Francesco Paolo Campione
Prefazioni di Maurizio Buora, Giovanna Masoni Brenni, Giorgio Pellegrini,
Luigi Reitani
Testi di Alessia Borellini, Francesco Paolo Campione, Lorenzo Massobrio,
Ugo Pellis, Stefano Perulli, Gian Franco Ragno
UDINE
INAUGURAZIONE Galleria comunale «Tina Modotti», Venerdì 23 Gennaio 2009, h.
18.00
CHIUSURA Galleria comunale «Tina Modotti», Domenica 26 Aprile 2009
LUGANO
INAUGURAZIONE Museo delle Culture, Venerdì 5 Giugno 2009, h. 18.00
CHIUSURA Museo delle Culture, Domenica 13 Settembre 2009, h. 18.00
CAGLIARI
CONFERENZA STAMPA Centro Comunale d'Arte «Il Ghetto», Giovedì 8 Ottobre
2009, h. 11.00
INAUGURAZIONE Centro Comunale d'Arte «Il Ghetto», Venerdì 9 Ottobre 2009, h.
18.00
CHIUSURA Centro Comunale d'Arte «Il Ghetto», Domenica 17 Gennaio 2010
Durante l'esposizione, nelle diverse sedi saranno organizzate specifiche
attività educative e di alta formazione.
IL PROGETTO "UOMINI E COSE"
Il tema della ricerca e dell'esposizione
Nel Dicembre del 1932, Ugo Pellis inizia un lungo viaggio di
ricerca attraverso la Sardegna, che lo porta, nel volgere quasi ininterrotto
di tre anni, a indagare sistematicamente la struttura e le peculiarità della
lingua sarda, per la stesura del celebre
Atlante Linguistico Italiano. Nel
corso del suo lavoro "nobilissimo ma gravissimo", in parte insieme alla
moglie Nelda, il filologo friulano visita 143 località dell'isola,
percorrendo a piedi, sul dorso di muli e sulle traballanti ruote d'una
Balilla donata dal Duce, migliaia e migliaia di chilometri, col suo carico
di album d'illustrazioni, di questionari filologici, di taccuini da campo e
di carte geografiche, che lo fanno spesso apparire agli occhi della gente un
personaggio misterioso e buffo. Nel suo bagaglio anche un corredo di lastre
fotografiche (poi di pellicole) utilizzate per ritrarre la realtà che
circonda il suo universo di parole: uomini e cose che, nell'immaginario
dello studioso educato a Vienna e a Innsbruck si configurano all'inizio,
come una sorta campionario di archetipi della "mediterraneità".
Durante i tre anni di lavoro, un po' alla volta, il contatto umano e la
quotidiana indagine linguistica gli permettono di capire la cultura sarda,
sempre più dall'interno. Le sue fotografie fanno così il paio con i
meticolosi questionari linguistici che egli impartisce alle centinaia di
suoi informatori: ne scaturisce un ritratto di enormi proporzioni
documentarie in cui immagini di un nitore talvolta inerme, e apparentemente
prive di intenti decorativi, riproducono il contesto lessematico e
l'articolazione interna del sistema/cultura ricalcandolo idealmente sul
sistema/lingua che emerge dal lavoro di ricerca sul campo, attraverso il
quale compone il suo Atlante.
Nella sua fotografia di "uomini e cose" c'è però molte volte qualcosa di più
di un ritratto: c'è innanzi tutto il gusto di mettere in rapporto fra loro i
volumi e le forme; in un gioco che ha spesso come obiettivo l'individuazione
di un elemento centrale attorno al quale far "implodere" la composizione.
Ciò è evidente nelle foto che ritraggono oggetti alla stregua di nature
morte, ma si ritrova, con una struttura soltanto un po' più elaborata, sia
nei ritratti di persone che troneggiano, come re umili, al centro di scene
domestiche e agresti, sia nelle figure poste a ridosso di quinte geometriche
che sembrano fatte quasi a posta per rivelare gli elementi della personalità
nascosta nelle posture e nelle movenze appena accennate. C'è, in secondo
luogo, il tentativo di restituire le sensazioni prodotte dai paesaggi, come
nella bellissima serie di fotografie scattate a Escalaplano a metà giugno
del 1934 al momento del raccolto, o come nell'ampia sezione del reportage
dedicata a Bonorva, in cui Pellis intende, in primo luogo, suggerire l'idea
di un luogo aperto per ogni dove, con le strade inondate di una luce che
trapassa gli individui ed è -a mala pena- trattenuta dalle case. C'è in
terzo luogo una ricerca frequente di inquadrature capaci di rivelare come le
piccole cose rimandino alle grandi, in un gioco sorprendente di
miniaturizzazioni culturali, cui non è estraneo nemmeno il gioco di ritrarre
i bambini vestiti da adulti come accade per i ragazzini in costume
maureddino di Teulada, per il bambino di Bonorva vestito da frate in
ossequio a un voto o, in modo raffinato, nella bellissima foto della bambina
di Tonara alle spalle della quale si specchia una donna di spalle che
cammina in direzione opposta, lungo una strada che viene istintivamente da
pensare sia quella della vita. Sono assonanze e giochi che inevitabilmente
interrogano il lettore dell'opera sullo spessore della ricerca visiva di
Pellis e sul suo frequente manifestare un mondo della poesia e dell'arte che
non solo egli conosce per le buone letture dei suoi studi classici, ma
pratica come poeta e narratore in lingua friulana. Per Pellis la Sardegna è
"la terra sacra per la tenace conservazione delle impronte di Roma": il
luogo dove si conservano ancora vive le tradizioni di una mediterraneità
altrove già inevitabilmente compromessa dall'avanzare del mondo moderno. La
Sardegna è dunque anche per lui, come per un'ininterrotta serie di
viaggiatori stranieri che visitano l'isola negli anni Venti e negli anni
Trenta, un universo esotico in cui non dimorano però i selvaggi o i
"primitivi", ma i discendenti inconsapevoli della romanità e di epoche
ancora più remote che hanno continuato per secoli ad ardere sotto uno strato
di cenere che si assottiglia man mano che dalle coste ci si muove verso
l'interno di quelle Barbàgie a lui così care. Ecco che allora possiamo
spiegarci l'insistenza dei ritratti di donne che filano, come Moire, dai
volti incorniciati da fazzoletti e ornamenti che evocano tempi antichi.
Viene da pensare che sia la metafora di un passato remoto che emerge a
malapena dall'inchiesta del linguista che tocca con mano le cose semplici
dietro alle quali vi è la profondità della storia. Nella fotografia di
Pellis c'è poi la compassione per il mondo degli umili "che -come scrive in
una sua bella pagina- con tutto il loro gergo furbesco non han trovato il
modo d'ingannare la miseria, che li sospinge raminghi di piazza in piazza,
di strada in strada, di stalla in stalla per un tozzo di pane". Si tratta
però di un sentimento che non assume mai né i toni del paternalismo borghese
di fine Ottocento, né quelli della denuncia sociale cui Pellis, autentico
figlio del popolo, è estraneo per ideologia e per indole. La sua compassione
è compresenza e si traduce nel tentativo di restituirci in modo disincantato
le cose come stanno, senza nulla togliere e senza nulla aggiungere, con una
posizione da osservatore partecipante ante litteram. Per lui le "magre
condizioni della popolazione agricola" di Gàiro, di Tortolì e di tanti altri
paesi, la "vita primitiva" ancora contraddistinta dallo scambio di merci di
Perdasdefogu, la miseria, le architetture malsane e la malaria che fanno qua
e là capolino sono dati di fatto con i quali lottare, rimboccandosi le
maniche, senza aspettare l'aiuto di nessuno. Il "progresso" è giudicato
negativamente se stravolge le regole della vita comunitaria e la solidarietà
sociale, non se introduce cambiamenti che migliorano le condizioni di vita
della gente. La sua è una visione sofferta, ma ottimista, che ha poco di
"politico". Non denuncia, ma testimonia a prescindere dal giudizio sulle
cose. Le sue fotografie, in tal senso, non tolgono e non aggiungono nulla;
non contengono manipolazioni visive, né cercano di restituire realtà artate.
Vi troviamo la fatica, la povertà e la sofferenza, così come il gioco,
l'abbondanza e il richiamo a un orgoglioso passato. Nelle sue inquadrature,
il "moderno" non è occultato, né magnificato e, in qualche modo, il senso di
tale equilibrio costituisce il valore aggiunto di un ritratto fotografico
che, nel suo insieme, ci mostra molti segni di una realtà sociale e
culturale in profonda trasformazione. Ciò non significa però che il suo
obiettivo si astenga dal mettere a fuoco, quando può, l'antico che rimane
asserragliato nelle sopravvivenze e il moderno che inesorabilmente avanza.
La fotografia di Pellis è, in questo, capace di produrre quel contrasto, che
è solo nelle corde poetiche e narrative dei grandi fotografi che, pur
ritraendo una realtà sotto gli occhi di tutti, sono capaci di evidenziare
gli elementi che se distaccano in modo significativo. Semmai vi è nella
fotografia di Pellis un interesse consapevolmente profondo, che egli forse
pudicamente nasconde, lo si deve rintracciare proprio nel suo gusto di
ritrarre, laddove esiste ancora, il "bello" di un mondo popolare che, come
scrive in diverse sue pagine, egli sente talvolta dolorosamente prossimo al
tramonto. Laddove questo accade la sua composizione promana all'istante una
più alta armonia, effetto di semplice compostezza di forme e di scabra
assenza di simboli. Si manifesta allora un'ineffabile capacità di prendere
per mano lo sguardo e di farlo addentrare nell'immagine che declina, in un
originale modello stilistico, la visione culturale di Pellis e la sua
irriducibile volontà analitica. Quando questo accade la fotografia trascende
il documento e, senza indugi, è arte. |
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