Utilizza il tempo libero per accrescere da
autodidatta le sue conoscenze artistiche e letterarie. Finito il conflitto,
Bosshard trova lavoro come agente commerciale in Estremo Oriente. I suoi
interessi sono diversificati e gli permettono di viaggiare parecchio: fra le
diverse attività che avrà modo di svolgere per oltre una decina d'anni, vi è
anche la direzione di un'impresa di estrazione della gomma nell'Isola di
Sumatra, e -in seguito- d'una società di preziosi a Giava. La passione per
la fotografia, che gli deriva dal desiderio di documentare visivamente i
suoi viaggi, lo spinge a perfezionare intorno alla metà degli anni '20 le
sue conoscenze tecniche in materia: fondamentale è, in tal senso, il lavoro
che svolge nel 1925 come assistente di Herbert Ruedi, titolare di un negozio
di fotografia in Via Nassa a Lugano, che era impegnato nel completamento di
un libro sulla Roma cristiana che sarà pubblicato a Ginevra nel 1926, in
edizione francese e in edizione tedesca, con i testi di Georges Goyau e la
supervisione storica e archeologica di Henry Chéramy. Anche se non abbiamo
modo di documentarlo, ci appare del tutto verosimile che sia stato il
fotografo luganese, autore di una guida pratica sull'argomento (1934) a
consigliare e indirizzare Bosshard verso l'uso di una pratica Leica,
fotocamera messa in commercio dal 1925, che costituiva allora una novità
pressoché assoluta. Un'importante occasione, che gli consente di
perfezionare i caratteri della sua visione e le tecniche, allora ancora
piuttosto complesse e delicate, necessarie allo sviluppo e alla stampa dei
negativi sul campo, è offerta a Bosshard dal fortunato incontro avuto a
Peshawar, in Afghanistan, con il geografo tedesco Emil Trinkler (1896-1931),
già autore di una conosciuta pubblicazione sul Tibet (1922), che sta a quel
tempo preparando insieme al geologo Hellmut de Terra una spedizione verso
l'Altopiano tibetano e il Bacino del Tarim. Bosshard riuscirà ad aggregarsi
al gruppo in qualità di responsabile della logistica della carovana e, in
modo complementare, di fotografo addetto alla documentazione del lavoro. La
spedizione ha luogo fra il 1927 e il 1928 ed è ricca di risultati
scientifici che saranno documentati da due importanti volumi curati dopo la
morte del capospedizione dalla sua vedova Ilse e da Günther Köhler (De
Terra, 1932; Trinkler, 1932) e accolti con soddisfazione dagli studiosi del
tempo (Harrison, 1933; Morris, 1933a). Alla fine del lungo viaggio, che dura
un anno e mezzo, Bosshard risiede per quattro mesi a Kashgar, antico
caravanserraglio lungo la Via della seta e mette in ordine la grande
quantità di fotografie che ha avuto la possibilità di eseguire. Molti degli
scatti si soffermano a ritrarre i tratti culturali e i volti delle
popolazioni incontrate durante il tragitto e in essi è già chiara
l'impostazione di fondo che contraddistinguerà poi, negli anni seguenti, il
lavoro del fotografo. Oltre che per le illustrazioni che corredano i due
volumi sopra ricordati, Bosshard adopera le fotografie del suo reportage per
la stesura di un resoconto dei risultati botanici della spedizione (1932),
per pubblicazione di alcuni articoli illustrati per giornali e riviste, fra
le quali «Atlantis», «Vu», «Berliner Illustrierte Zeitung», «Schweizer
Illustrierte Zeitung», «Neue Zürcher Zeitung» (Pfrunder, Münzer & Hürlimann,
1997: 236) e «National Geographic» (1931) e, soprattutto, per realizzare il
primo dei suoi otto volumi di viaggio, che esce a Stoccarda nel 1930 col
titolo Durch Tibet und Turkestan. Reisen im unberührten Asien e che sarà
tradotto e pubblicato due anni dopo in inglese. Lo stile narrativo di
Bosshard, sin dai sui esordi, è ben delineato e non avrà sostanziali
modifiche nel corso degli anni. Si tratta di una prosa asciutta, che
predilige la prima persona e cerca di estraniarsi dal giudizio sui fatti che
racconta, anche facendo ricorso alle citazioni che, spesso, trae da
documenti del tempo. I libri di Bosshard sono, come scritto in una
recensione apparsa nel «The Geographical Journal» (Morris, 1933b), «diaries
with pen and camera» nei quali l'Autore rimane sul punto, estendendo un po'
alla volta l'orizzonte narrativo (e visivo), senza correre il rischio di
scivolare in interpretazioni che presuppongono elementi che vanno al di là
dell'immediato presente. L'impressione che ne ha il lettore è che si tratti
di un racconto privato, o scritto per pochi amici, che l'Autore mette a
disposizione del pubblico più vasto, senza troppi rimaneggiamenti, per
mantenerne intatta la freschezza e la presa diretta con le esperienze e i
fatti narrati. Trovata la porta professionale giusta, Bosshard entra senza
ripensamenti nelle stanze del più prestigioso fotogiornalismo, facendosi
sempre più apprezzare per i suoi lavori puntuali e ben documentati. A
partire dagli inizi degli anni Trenta, diviene, a pieno titolo, uno dei
fotoreporter più ricercati dalle massime testate giornalistiche di lingua
tedesca, con alcune delle quali, e in particolare con la «Neue Zürcher
Zeitung», stringerà un rapporto di collaborazione che durerà sino alla fine
della sua attività. Sono gli anni in cui il fotogiornalismo conosce il suo
maggiore sviluppo e costituisce una forte novità nell'ambito
dell'informazione scritta e visiva: Bosshard ripercorre puntualmente le
tappe di questa prima èra, tanto da configurarsi come un vero e proprio
«pioniere» esemplare di questa avventura culturale: infatti, come altri
autori, arriva al fotoreportage dopo altre esperienze professionali
(pensiamo qui -ad esempio- ad Alfred Eisenstaed ed Erich Salomon), si
associa alle prime e più importanti agenzie fotografiche e sperimenta -non
da ultimo- le questioni etiche e politiche legate al controllo delle
informazioni e alla censura. Nel Marzo del 1930, per conto dell'agenzia
«Dephot» (Deutscher Photodienst) di Berlino e della «Münchener Illustrierte
Presse» si reca in India per documentare la celebre «Marcia del sale» e la
protesta non violenta contro il monopolio inglese delle merci. Di Gandhi e
dell'India del suo tempo, Bosshard restituirà un ritratto straordinario che,
da una parte ha creato l'icona con la quale il Mahatma è entrato nella
memoria collettiva dell'umanità e dall'altra oltrepassa gli stereotipi
neoclassicisti e romantici del British Raj, presentando l'India sotto
molteplici, contrastanti e spesso impensati, aspetti. Durante il suo
soggiorno che si protrae per molti mesi, scrive una trentina di articoli,
alcuni dei quali mai pubblicati, che utilizzerà poi come materiale di
partenza per la scrittura del suo secondo libro di viaggio Indien kämpft!
(1931). L'obiettivo sotteso del volume è quello d'informare il lettore sulla
natura della lotta politica allora in corso. A parlare sono, attraverso di
lui, alcuni importanti esponenti politici del tempo, fra i quali Nehru, la
signora Naidu, Lord Irwin e, naturalmente Gandhi, di cui traccia chiaramente
fra le righe il profilo di un astuto uomo politico più che quello di un
mistico. Nell'Ottobre 1930, insieme all'americano William Shirer e
all'austriaco Harald P. Lechenperg, è fra i tre fotoreporter chiamati
all'incoronazione di Mohammad Nadir Khan a nuovo re dell'Afghanistan, quindi
riprende a viaggiare senza sostaper l'Europa e, soprattutto, per l'Oriente,
in pratica senza una vera e propria soluzione di continuità sino al 1933. In
tre anni i suoi reportage lo conducono in Siam, in Cambogia, nell'Indocina
francese (Laos) e in Annam (Vietnam). Nel 1931 incontra a Nanchino il
maresciallo Chiang Kai-shek e alla fine dell'anno documenta la guerra
sino-giapponese in Manciuria e a Shanghai. Nel 1932 è a Singapore, a
Bangkok, nelle Filippine e in Giappone. Fra i reportage più importanti che
realizza in quel periodo ricordiamo quello relativo al viaggio del celebre
dirigibile Zeppelin LZ127 che, dal 24 al 31 Luglio del 1931, tenta con
successo la trasvolata artica. I diritti del suo servizio sono acquistati in
esclusiva dalla Ullstein-Verlag di Vienna e dalla «Berliner Illustrierte
Presse» dando all'evento un'enorme diffusione mediatica. Nel 1933, Bosshard
entra inoltre a far parte di una delle più importanti agenzie fotografiche
dell'epoca, la Black Star, fondata a New York dagli esuli ebrei tedeschi
Ernest Mayer, Kurt Safranski e Kurt Kornfeld, che contribuirà in modo
decisivo al successo editoriale della rivista americana di maggior tiratura
all'epoca, «Life», fondata da Henri R. Luce, il 26 Novembre del 1936. Fra i
collaboratori della Black Star, troviamo in quegli stessi anni i maggiori
nomi del fotogiornalismo mondiale fra i quali Martin Munkácsi, William
Eugene Smith, Bill Brandt, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson: questi
ultimi due più noti in seguito per aver fondato nel 1948 l'agenzia
indipendente Magnum. Fra il 1933 e il 1939, Bosshard risiede per lo più in
Cina, a Peiping e in altre città, in cui fa base per muoversi periodicamente
verso altre destinazioni. Nel 1933 partecipa alla spedizione scientifica
tedesca nel Koko Nor, regione del Nordest del Tibet, che è raggiunta
risalendo verso le sorgenti dello Yang-Tze. Nel Marzo 1934 assiste
all'incoronazione di Pu-yi, l'ultimo discendente della dinastia dei Ch'ing,
a capo del Manchukuo, lo stato fantoccio della Manciuria occupata dalle
forze giapponesi. Fra il 1934 e il 1936 compie una serie di viaggi nella
regione cinese di Rehe, al di là della Grande Muraglia, e in Mongolia. Il
suo incontro con le culture nomadi e con i paesaggi senza fine di quella
parte dell'Asia centrale segna una tappa fondamentale per l'evoluzione del
suo linguaggio fotografico che si arricchisce di note espressive capaci di
coniugare l'immediatezza «storica» del suo sguardo con l'essenzialità dei
tratti del paesaggio e delle forme del quotidiano. Ne scaturisce una
fotografia scarna e luminosa, fatta di linee semplici e di contrasti decisi
fra la luce e l'ombra, che sembra fatta apposta per descrivere i caratteri
della vita dei popoli delle steppe. Di un certo interesse, per lo studio
della ricerca visiva di Bosshard sono anche i due documentari
cinematografici in 16 mm, di 15 minuti ciascuno, intitolati Mongolei,
montati nel 1936 con le riprese fatte durante gli anni precedenti, cui
seguiranno, sino al 1938, tredici altri cortometraggi, tutti girati in Cina,
in Manciuria e in Indocina (cfr. Pfrunder, Münzer & Hürlimann, 1997:237) e
otto altri girati negli anni seguenti, sino al 1954. Fra il 1937 e il 1939,
Bosshard documenta le fasi della guerra sino-giapponese e assiste alla
nascita delle forze politiche e sociali che animeranno nel decennio
successivo la storia della Cina. I suoi reportage costituiscono, in tal
senso, uno dei contributi di maggiore autorevolezza di quel tempo segnato in
Europa dall'affermazione dei regimi totalitari e dalla comparsa sulla scena
di tragici venti di guerra. Sempre in Cina, grazie anche alle sue conoscenze
e alla sua abilità diplomatica, Bosshard riesce nell'impresa eccezionale di
fotografare, nel suo quartiere generale di Yenan, il giovane Mao Tse-tung, a
capo dell'esercito comunista. Il servizio, pubblicato da «Life»
nell'edizione del 9 Agosto 1938 col titolo China's Blue-Clad Reds Harry
Japan. From Faraway Yenan they rule North China, consacra Bosshard che, dopo
Gandhi, aggiunge un altro protagonista al suo portfolio d'icone del mondo
moderno. Nello stesso anno pubblica a Berlino il suo terzo libro di viaggio,
forse il più bello, sicuramente quello che riscuoterà il maggiore successo
di pubblico, Kühles Grasland Mongolei, ripubblicato in lingua tedesca sino
al 1954 e tradotto in seguito in francese e in svedese. Il volume racconta
dell'incontro di Bosshard col Principe Tê (Te Wang), il leader del movimento
di resistenza della Mongolia interna e della visita alla città di Pai-ling
Miao, dove il governo autonomista è per un breve tempo insediato. Il
registro della narrazione del volume si muove, in modo tutto sommato
equilibrato, fra due esigenze diverse: da una parte descrive il fascino e la
bellezza dei paesaggi luminosi delle praterie mongole e della sua gente
ospitale; dall'altra offre un resoconto giornalistico delle ingerenze e
della progressiva occupazione giapponese in Manciuria che è osteggiata dai
mongoli che preferirebbero rimanere fedeli al governo cinese, ma che al
tempo del suo ultimo viaggio è cosa fatta, con un funesto corollario di
conseguenze per la popolazione locale. Nel 1939 Bosshard torna in Europa,
per lavorare come corrispondente di guerra per la «Neue Zürcher Zeitung». È
inviato prima nei Balcani e poi in Medio Oriente. Scrive dalla Polonia,
dalla Romania, dall'Albania, dalla Grecia, dalla Turchia, dall'Irak e
dall'Iran. Nel corso del suo lavoro si scontra però con una serie di
condizionamenti che sono per lui sostanzialmente nuovi e patisce un doppio
isolamento: da una parte l'essere il cronista d'un paese neutrale, non gli
permette di superare la diffidenza e l'isolamento che gli procurano gli
alleati inglesi e americani, tanto più a ragione della sua lingua madre
tedesca; dall'altra parte il suo abito ideologico di documentare le cose per
quello che sono si scontra con il desiderio dei belligeranti di ambedue le
parti di utilizzare le informazioni a scopi di propaganda. Nel 1941,
utilizzando un pretesto, «Life» lo allontana, preferendo da quel momento
affidarsi in toto al servizio di informazioni britannico e ai fotografi a
seguito dell'esercito. Bosshard decide di conseguenza di riprendere la
strada dell'Oriente e, dopo aver fatto sosta in Egitto e in India, ritorna
in Cina, per documentare la resistenza del Kuomintang ai giapponesi a
Chungking. Nel 1942 si trasferisce negli Stati Uniti, dove lavora come
corrispondente della «Neue Zürcher Zeitung» a Washington, seguendo da quel
punto di vista la seconda parte del conflitto e, in seguito, lo svolgimento
delle grandi conferenze internazionali di San Francisco, di Bretton Woods,
di Dumbarton Oaks e la costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite
che ridisegnano il volto geopolitico del mondo all'indomani della guerra.
Nel 1947, Bosshard ritorna in Cina e, riprendendo i passati contatti, ha
modo di seguire da vicino l'evolversi dei fatti che portano all'affermazione
politica e militare del Partito Comunista Cinese. In quello stesso anno
raccoglie organicamente le sue esperienze degli anni di guerra nel volume
intitolato Erlebte Weltgeschichte. Reisen und Begegnungen eines neutralen
Berichterstatters im Weltkrieg 1939-1945, che è subito tradotto in francese
dalla Librerie Payot di Losanna (cfr. Bosshard, 1947). Nelle fasi convulse
che, all'inizio del 1949, portano alla marcia su Pechino, Bosshard è
costretto a lasciare la Cina, perdendo una parte importante del suo archivio
fotografico e cartaceo. Il ritorno in Europa è però solo momentaneo e ben
presto Bosshard torna al suo mestiere di sempre di roving correspondent, in
perenne movimento fra una nazione e l'altra. Dal 1950 al 1953 percorre in
lungo e in largo tutto lo scacchiere asiatico e mediorientale, per seguire
da vicino, sempre per conto della «Neue Zürcher Zeitung», gli avvenimenti
più importanti del tempo. Lo troviamo più volte in Corea, dove nel frattempo
è scoppiata la guerra, in Indocina, in Cina, a Taiwan, in Giappone, in Iraq,
in Iran, in Egitto e in Sudan. Nell'Ottobre del 1953, mentre si trova a
Panmunjong, in Corea, inciampa bruscamente in una radice e subisce una grave
lesione dell'anca, che lo terrà per lungo tempo lontano dall'azione, e da
cui non si riprenderà mai completamente, mettendo così praticamente fine
alla sua lunga e brillante carriera di corrispondente estero. Nel 1954
pubblica una raccolta di scritti e di testimonianze sul Medio Oriente che
esce in Svizzera col titolo Gefahrenherd der Welt: Der Mittlere Osten e in
Germania con quello di Generale, Könige, Rebellen. Weltgefahr im Mittleren
Osten L'anno seguente il volume è tradotto in olandese col titolo Conflict
en intrige in het Nabije Oosten. Nel 1956 Bosshard chiederà il
prepensionamento che gli sarà concesso a partire dal 1957. Gli ultimi
quindici anni della sua vita sono divisi tra lo chalet di Grimentz nella Val
d'Anniviers, dove trascorre l'estate e i lunghi soggiorni invernali nel sud
della Spagna. Fra il 1959 e il 1962, raccoglie i suoi ricordi e scrive gli
ultimi due libri. Tuth. Geschichte aus dem Sudan, del 1960, è una
riflessione sui difficili processi di decolonizzazione dell'Africa, condotta
con un atteggiamento mentale e letterario più meditato che lascia
trasparire, in qualche passo, il valore dell'analisi dei fatti nella loro
prospettiva storica. Im goldenen Sand von Asswan, del 1962, è invece
un'originale raccolta di dialoghi e di racconti ambientati in un lussuoso
albergo egiziano che attualizza e riprende a modo suo l'idea della
registrazione
L’esposizione dedicata
all’opera di Walter Bosshard segna il raggiungimento di diversi obiettivi
del Museo delle Culture; alcuni di questi hanno a nostro avviso anche
rilevanza per una riflessione più generale sulle politiche culturali, e vale
la pena che siano qui sottolineati. Il primo – forse il più importante – è
il consolidamento del progetto scientifico di «Esovisioni» e cioè della sua
ricerca dei significati e dei valori della fotografia dell’esotismo, come si
sono mostrati in tutto il loro vigore in quel momento cruciale della vita
culturale del mondo contemporaneo che sono stati i primi sessant’anni del
Novecento. Un progetto che il Museo delle Culture condivide con la
Fotostiftung Schweiz e che sta un po’ alla volta disegnando una vera e
propria «mappa» dei modi in cui l’Occidente ha guardato (e giudicato)
l’Altro. Dopo la visione solare e disincantata di Maraini e l’erotismo
sotteso nel paradiso immaginato da Schuh, eccoci adesso al distacco di
Bosshard e al suo tentativo di restituirci il mondo in presa diretta. E ogni
visione, nelle peculiarità offerteci dalla grande fotografia, diviene sia la
possibilità d’esplorare i contorni di un oggetto d’arte sia il pretesto per
approfondire i meccanismi antropologici di costruzione delle realtà: davvero
un binomio d’intrigante bellezza estetica e intellettuale, analizzato da una
molteplicità di aspetti diversi, con competenza e acume, negli articoli
ospitati dai cataloghi che corredano le esposizioni. Il valore della
ricerca, dicevamo, non il solo obiettivo centrato dal progetto. Un secondo –
che ci sta particolarmente a cuore – è quello d’avere reso partecipe a tutti
i livelli il territorio. E parlo innanzitutto dei giovani ricercatori
coinvolti nella ricerca che, grazie a «Esovisioni», hanno a disposizione una
piattafor- ma sulla quale confrontarsi con alcuni dei massimi specialisti
della materia, ma anche delle istituzioni accademiche e culturali che hanno
trovato nella ricerca del Museo delle Culture un oggetto d’interesse
specifico, e lo hanno inserito fra gli argomenti trattati in alcuni
programmi di studio. Penso qui al Master in Technology-Enhanced
Communication for Cultural Heritage dell’Università della Svizzera italiana,
al corso di laurea di Scienze dei Beni e delle Attività Culturali
dell’Università degli Studi dell’Insubria, all’Alta Scuola Pedagogica, alla
Scuola Superiore Alberghiera e del Turismo e, non ultima, alla Scuola
Universitaria Professionale della Svizzera italiana, dove l’insegnamento di
Storia della Fotografia è stato, fra l’altro, affidato a Gian Franco Ragno,
un giovane che ha collaborato sin dall’inizio al progetto e che ha
contribuito a tutti e tre i volumi sinora pubblicati. Il terzo obiettivo
raggiunto da «Esovisioni» è quello di mettere a disposizione del pubblico o,
forse meglio dire, «dei pubblici », un’indagine chiara, argomentata e
autorevole, capace però – al contempo – d’essere una proposta culturale
accattivante. L’esplorazione dell’esotismo è il risultato di un progetto
originale che è programmato e condotto al più alto livello scientifico, ma è
immaginato, sin dal suo costituirsi, per essere divulgato nel senso più
ampio. La ricerca alimenta l’esposizione e l’esposizione è realizzata per
essere letta con diversi livelli d’approfondimento; ed è fruibile tanto per
il visitatore frettoloso o per l’esteta che vuol cogliere
fenomenologicamente l’impatto emotivo della narrazione fotografica, quanto
per lo scienziato interessato a scoprire il rilievo dei documenti che, il
più delle volte, tornano alla luce, e sono leggibili da diverse ottiche
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![]() "L’India al tempo di Gandhi" Adhikara Art Gallery updated 16.11.23 |
Adhikara Art Gallery
updated
16.11.23