Lea e Hans Grundig
Di Vinicio Salati
Hans e Lea Grundig Langer sono stati ospiti del nostro paese nel lontano
1936, quando cioè il nazismo cominciava a imporre in Germania il suo pesante
giogo. Già da tempo l'arte dei due artisti di Dresda, della scuola di Otto
Dix all'Accademia delle arti, rifletteva lo spirito dei ribelli a un mondo
che stava marciando verso la guerra e la rovina.
La prova la troviamo appunto
in queste incisioni che sono ora esposte a Porza e che ci parlano di quel
mondo di lotte e di miseria. Un canto per i poveri, per i derelitti, un
canto di solidarietà umana. Mentre in Lea Grundig Langer vi era una maggiore
aderenza alla realtà della vita nel suburbio, tra il proletariato (e ne
fanno fede i suoi ritratti di madri, di bambini,
di giardini d'infanzia - per modo di dire - di operai e di amici nelle pene
e negli affanni), i lavori di Hans Grundig hanno un senso premonitore di
disperazione e di distruzione biblica. L'anima dell'artista (ora scomparso
dopo aver sofferto 10 anni nei campi di concentramento, e che alla
liberazione poté riprendere per poco la sua luminosa attività) vibrava di
presentimenti. Ricordiamo di averlo invitato allora a non rientrare, ma a
cercare rifugio da noi o in altri paesi. Ha preferito andare incontro al suo
destino con una inesorabilità disperata. La sua umanizzazione degli animali
- soprattutto cani - rinchiusi in recinti e affamati, di cavalli
imbizzarriti, ci fa pensare a essere dotati di parola e di pensiero, non a
quadrupedi soggiogati dall'uomo. I suoi interni sono fatti di sogni come la
secchia che cammina da sé o la scopa che allevia il lavoro della donna delle
pulizie, i giochi dei bambini nel suburbio, i ritratti di qualche amico, le
tempestose visioni delle città imbandierate e nei cui cieli s'incrociano i
caccia della Wehrmacht, sembrano incisi come ammonimento da una Cassandra
moderna, sbeffeggiata e ridicolizzata da tutti, ma pur sempre più aderente
alla realtà di quanto non lo fossero gli struzzi della politica e dell'arte
che allora lavoravano nell'illusione. Hans e Lea Grundig Langer, con la loro
presenza alla mostra
di Porza, ci fanno rivedere il cammino dell'umanità in questi ultimi decenni
e ci ripropongono alla meditazione dei temi che purtroppo non sono ancora
stati chiaramente e positivamente risolti.
Vinicio Salati
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Sonja Markus Salati
Di Luciana Caglio
Sonja Markus, insieme con i due
Grundig, che le furono uniti da una lunga amicizia, scaturita dalla stessa
profonda partecipazione agli affanni di un'epoca drammatica, espone al "Claustro"
di Porza, Sonja Markus. Ed è quindi un'occasione preziosa, da valutare anche
su un piano umano, questo nuovo incontro con un artista, che lavora in un
suo assennato riserbo, in un suo ben difeso raccoglimento. Il che non
significa refrattarietà nei confronti del mondo, delle sue suggestioni, dei
suoi motivi di intenerimento, di riflessione o di preoccupazione.
La pittura di Sonja Markus non è, a dispetto di certe sue apparenze,
piacevolezza, non è divertimento, espresso abilmente con colori, con masse
in movimento, con paesaggi evanescenti. Anzi, e proprio quest'ultima mostra
sembra offrirne una testimonianza inequivocabile, nei quadri di
quest'artista è presente più che mai un'esperienza umana, qualche volta ai
limiti dell'angoscia.
Non sempre la pittrice riesce e vuole staccarsi dal mondo reale per
penetrare e isolarsi, in condizioni di totale abbandono, in quel suo
universo tutto d'invenzione fiabesca, in quelle visioni sfumate dove
personaggi, architetture, natura si fondono con perfetta coerenza. Adesso,
molte volte, i suoi colori si fanno allarmanti, gli stessi paesaggi si
caricano di presagi, i cieli diventano una specie di incubo che grava sulla
terra. Almeno così simile a un inquietante avvertimento, abbiamo
interpretato uno dei suoi ultimi paesaggi affidato a dei blu, a dei viola, a
dei verdi di una singolare intensità, e capaci quindi di aprire una visione
quasi apocalittica delle cose.
Altre volte, invece, il colore si placa, e si accentua un'impressione quasi
surrealista, nella marea, per esempio, dove le case sembrano emergere al di
sopra delle acque, e destinate a rimanere per sempre lassù. Naturalmente gli
influssi che hanno sempre guidato il lavoro di quest'artista, come il gusto
e la comprensione per il mondo orientale, il senso ritmico del movimento,
l'importanza del paesaggio animato da figure che gli appartengono
indissolubilmente, soprattutto la sensibilità per il colore, continuano a
prevalere anche in queste ultime opere. Tuttavia nuovi fermenti e nuovi
assilli trapelano oramai, da questa pittura capace più che mai di
trasmettere un messaggio. E che, quindi, non si accontenta più di piacere e
di affascinare, ma fornisce anche una densa materia di riflessione.
Luciana Caglio
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