Socrate
morente di Markus Antokolski
al Parco Ciani di Lugano
La scultura realizzata dallo scultore russo Mark Matwejewitsch Antokolski
raffigura l'anziano filosofo greco, calvo e barbuto, abbandonato su un trono
dallo schienale alto e semicircolare. Il corpo avvolto in un drappo fino al
torace che lascia scoperti i piedi.
L'opera si inserisce perfettamente nella produzione artistica dello scultore
russo, nato a Vilna nel 1843 e morto ad Amburgo nel 1902, che si dedicò alla
ritrattistica ed ai soggetti storici. Sua è ad esempio la statua di Pietro
il Grande, conservata all'Ermitage di San Pietroburgo e quella di Ivan il
terribile che si trova attualmente al Kensington Museum di Londra. Si tratta
in generale di opere che personificano gli ideali umanisti della Bontà e
della Giustizia, ispirate alla corrente del realismo russo.
Il Socrate del Parco Civico di Lugano è una scultura molto cara alla
comunità ticinese anche se in realtà rappresenta una copia dell'originale,
attualmente conservata al Museo di Stato Russo di San Pietroburgo. Divenuto
molto celebre dopo aver ottenuto una medaglia d'oro all'Esposizione
Universale di Parigi nel 1878, Antokolski realizzò infatti alcune repliche
delle opere che avevano riscontrato maggiore successo, per rispondere in
primo luogo alla domanda dei collezionisti e successivamente dei maggiori
musei internazionali. L'esecuzione di queste repliche era facilitata
dall'esistenza di un calco in gesso preso sulle sculture in marmo originali,
che permise la riproduzione piuttosto fedele delle opere.
In origine l'opera luganese del Socrate morente era di proprietà della
famiglia Maraini ed era situata nella loro suggestiva Villa di Massagno; la
scultrice milanese Adelaide Maraini-Pandiani (1836-1917), figlia dello
scultore Giovanni Pandiani e moglie dell'ingegnere luganese Clemente Maraini
(1838-1905), alla sua morte lasciò la scultura di Antokolski, insieme a
propri busti e bassorilievi scultorei (fra cui quello di Carlo Cattaneo)
alla Città di Lugano quale testimonianza del suo profondo legame.
Fu il marito Clemente nell'aprile del 1917 a donare alla Città di Lugano la
statua del Socrate morente secondo le disposizioni date da sua moglie
Adelaide appena deceduta. Nel documento di donazione la statua era definita
"originale in marmo" e solo successivamente emerse da alcuni studi che
doveva in realtà trattarsi di una copia realizzata dallo stesso scultore
russo.
La copia luganese, dopo la donazione della famiglia Maraini, fu situata
presso la darsena del Parco Civico e lì vi è rimasta fino a quando nel 1998
il Municipio ha risolto di togliere la scultura dalla sua sede originale a
causa dei vandalismi cui era costantemente sottoposta.
Nel 2002 l'opera molto danneggiata fu restaurata. Nacque in quel frangente
una discussione sulla necessità di conservare la scultura in marmo in una
zona protetta, preferibilmente all'interno, e sostituirla con una copia da
collocare all'esterno. Le varie opzioni che si presentarono furono le
seguenti: realizzare una copia in marmo di Carrara, in marmo artificiale
oppure in vetroresina.
Se la copia in marmo di Carrara avrebbe avuto il pregio del materiale,
sarebbe stata un'opera senza storia, o meglio senza patina e si sarebbe
presentata in maniera un po' fredda. Ad ogni modo sarebbe stata esposta agli
stessi agenti atmosferici corrosivi, avrebbe corso gli stessi rischi e avuto
gli stessi costi di gestione dell'"originale". La copia in marmo
artificiale, pur avendo il pregio di essere più aderente all'originale,
essendo il frutto di un calco dal vero, avrebbe avuto gli stessi problemi di
conservazione e di gestione del marmo statuario.
La scelta è caduta sulla copia in vetroresina. Questo materiale, più
resistente agli agenti atmosferici inquinanti, consente una manutenzione più
semplice e la sua lavorazione ha permesso di realizzare una copia aderente
all'originale, poiché frutto di un calco dal vero.
A partire dal 26 gennaio 2007 una copia del Socrate morente di Mark
Antokolski - il marmo sarà esposto fino al 15 aprile nella sala degli
specchi di Villa Ciani - sarà nuovamente posizionata nella sua sede
originale.
Per ulteriori informazioni rivolgersi a:
Sabina Bardelle, Ufficio Stampa, Dicastero Attività Culturali
Tel: +41 (0)58 866 7201 Fax: +41 (0)58 866 7497
Email: sbardelle@lugano.ch
Socrate
In lingua greca - (470
a.C. - 399 a.C.) - è stato un filosofo greco. È uno dei più importanti
esponenti della tradizione filosofica occidentale.
Il contributo più importante al pensiero occidentale è il suo metodo
d'indagine, conosciuto come elenchos, che applicò prevalentemente all'esame
critico di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto
come padre fondatore dell'etica o filosofia morale e della filosofia in
generale.
È ben noto il fatto che Socrate non ha lasciato alcuno scritto. Il suo
pensiero si ricava dalle opere dei discepoli, tra cui spicca soprattutto
Platone e, di seguito, Senofonte. Un'altra testimonianza si trova nella
commedia di Aristofane, Le nuvole. La mancanza di scritti di Socrate pone
notevoli problemi alla possibilità di ricostruire il suo pensiero originale,
in particolar modo risulta arduo distinguerlo da quello di Platone.
Breve Biografia
Socrate nacque ad Atene tra il 470 e il 469 a.C. Il padre, Sofronisco, era
scultore, mentre la madre Fenarete era una levatrice. Di umili origini, fu
tuttavia educato come i figli dell'alta società ateniese. Da soldato
semplice fu presente nella Guerra del Peloponneso, segnalandosi per valore
militare in diverse battaglie, tra cui a Potidea dove salvò la vita al
giovane Alcibiade.
Nel 406-405 si dedica alla vita politica, entra nella Bulè, il Consiglio dei
Cinquecento - corrispettivo del nostro parlamento - e viene eletto pritano,
cioè membro della presidenza collegiale dello stesso Consiglio. Si sposò due
volte, con Mirto e Santippe, di cui si tramanda una risaputa isteria.
Cacciati i Trenta Tiranni, vicini allo stesso Socrate, il filosofo fu
vittima di una campagna persecutoria ad opera dei restauratori della
democrazia ateniese. Accusato di voler divulgare una nuova religione e di
corruzione della gioventù, (300 a.C.), venne condannato a morte tramite
avvelenamento con la cicuta, sostanza usata per somministrare la pena
capitale nell'antica Grecia.
Il pensiero Socratico
Socrate intendeva la filosofia come ricerca e dialogo sui problemi
dell'uomo, come un'indagine in cui l'uomo facendosi problema a se medesimo,
tenta, con la ragione di chiarire sé a se stesso, rintracciando il
significato profondo del suo essere uomo. Per questo, Socrate fece suo il
motto dell'oracolo delfico Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione
ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo.
1. Il non-sapere
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è la
coscienza della propria ignoranza. Quando egli conobbe la risposta
dell'oracolo di Delfi, che lo proclamava il più sapiente fra gli uomini,
interpretò il responso divino come se esso avesse voluto dire che sapiente è
soltanto chi sa di non sapere. Per comprendere questa celebre affermazione
socratica - interpretata troppo spesso in modo astratto e generico - è
indispensabile collegarla al clima sofistico e scomporla nei suoi vari
significati. In essa vi è innanzitutto un'eco dell'agnosticismo metafisico
di un Protagora o di un Gorgia ed una sottintesa polemica contro i filosofi
della natura. Sostenere che vero sapiente è unicamente chi sa di non sapere
è anche un modo polemico per dire che genuino filosofo è soltanto colui che
ha compreso che intorno alle cause e alle strutture del Tutto non si può
dire nulla con sicurezza. Questa importante rilevazione non equivale
tuttavia ad una interpretazione di Socrate in chiave "scettica". Essa non
esclude la possibilità di una ricerca sull'uomo, anzi la incoraggia,
costituendosi come sua condizione preliminare, poiché solo chi sa di non
sapere cerca di sapere, mentre chi crede di essere già in possesso della
verità non sente l'impellente bisogno interiore di cercarla. La coscienza
socratica del non-sapere non conduce ad un soffocamento della ricerca, in
quanto essa, nelle sue valenze tipicamente socratiche, si configura
piuttosto come un salubre monito o una fruttuosa scintilla, capace di
accendere il grande dialogo interumano della filosofia.
2. L'ironia
Di conseguenza, nell'esame cui Socrate sottopone gli altri, coinvolgendo
anche se stesso, la sua prima preoccupazione è di renderli consapevoli della
loro ignoranza. A tale scopo egli si avvale dell'ironia (eironéia =
dissimulazione). L'ironia socratica è il gioco di parole o il variopinto
teatro di "finzioni" attraverso cui il filosofo, denudando le coscienze
soddisfatte delle loro formule cristallizzate e delle loro pseudo-certezze,
giunge a mostrare il sostanziale non-sapere in cui si trovano. L'ironia è
dunque il metodo usato da Socrate per svelare all'uomo la sua ignoranza e
per gettarlo nel dubbio e nell'inquietudine, impegnandolo nella ricerca.
Facendo ironicamente finta di non sapere, Socrate chiede al suo
interlocutore, per lo più illustre e celebrato "maestro" di qualche arte, di
renderlo edotto circa il settore di cui egli è competente. Dopo una teatrale
adulazione del sapere del personaggio, Socrate comincia a porgli
innumerevoli di domande e ad avvolgerlo in una rete di quesiti. Come tale,
l'ironia è una specie di "nobile sofistica", che tende alla purificazione e
alla liberazione della mente dalle malfondate convinzioni del vivere
quotidiano, e che funge da "torpedine marina" capace di scuotere l'uomo dal
suo torpore intellettuale, comunicandogli il dubbio e la sete di convinzioni
autentiche.
3. La maieutica
Tutto ciò non significa che Socrate, simile ad un saggio orientale, dopo
aver fatto il vuoto nella mente del discepolo, si proponga di riempirla
immediatamente con una sua verità; egli non vuole comunicare dall'esterno
una propria dottrina, ma soltanto stimolare l'ascoltatore a ricercarne una
sua propria dall'interno. Da ciò la celebre maieutica o arte di far
partorire di cui parla Platone, dicendo che Socrate aveva ereditato da sua
madre la professione di ostetrico. Come costei, essendo levatrice, aiutava
le donne a partorire i bambini, così Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli
intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose.
Nel metodo del Socrate ironico e maieutico, da cui scaturisce il concetto
della verità come conquista personale e della filosofia come avventura della
mente di ciascuno, si è anche visto uno dei principi fondamentali della
pedagogia: la vera educazione è sempre auto-educazione, ossia un processo in
cui il discepolo, grazie all'opera del maestro, viene aiutato a maturare
autonomamente dal proprio interno.
La morte di Socrate
1. L'accusa
Socrate visse durante un periodo di transizione, dall'apice del potere di
Atene fino alla sua sconfitta per mano di Sparta e alla sua coalizione nella
guerra del Peloponneso. Nel momento in cui Atene cercava di riprendersi
dalla sua umiliante sconfitta, su istigazione di alcune prominenti figure
del tempo, il tribunale degli ateniesi processò Socrate per empietà e
corruzione dei giovani e lo condannò a morte, ordinandogli di bere la
cicuta.
L'influenza di Socrate si era già esercitata in Atene su di un'intera
generazione, quando tre democratici oltranzisti - Meleto, Anito e Licone -
lo denunciarono alla città. L'accusa scritta, su cui si svolse il processo,
fu presentata da Meleto: "... questo ha sottoscritto e giurato Meleto di
Meleto, Pitteo, contro Socrate di Sofronisco, Alopecense. Socrate è
colpevole di non riconoscere come dèi quelli tradizionali della città, ma di
introdurre divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani.
Pena: la morte" (Diogene Laerzio, II, 5, 40).
Di fronte a questa imputazione, Socrate avrebbe potuto tentare di
scagionarsi, oppure di lasciare Atene. Invece non volle. La sua difesa fu
un'esaltazione del compito educativo che si era addossato nei confronti
degli ateniesi. Egli dichiarò che in nessun caso avrebbe tralasciato questo
compito, al quale era chiamato da un ordine divino. Con una piccola
maggioranza, Socrate fu riconosciuto colpevole. Poteva allora andarsene in
esilio o proporre una pena che fosse adeguata al verdetto. Invece, pur
dicendosi disposto a pagare una multa di tremila dracme, dichiarò
orgogliosamente che si sentiva meritevole di essere nutrito a spese
pubbliche nel Pritanèo come si faceva coi benemeriti della città. Ne seguì
allora, a più forte maggioranza, la condanna a morte che era stata chiesta
dagli accusatori.
2. Le cause storiche e politiche del processo
Qualche studioso ha paradossalmente affermato che la cosa più importante
della vita di Socrate fu la sua morte. Al di là della battuta, c'è qualcosa
di vero in questa tesi, in quanto il mito-Socrate, nelle varie epoche, deve
molto all'uccisione del filosofo.
Ma per lungo tempo la morte di Socrate è apparsa poco chiara. In realtà
sappiamo oggi che il processo e la morte del filosofo non sono per nulla
"indecifrabili", in quanto si collocano in un ben preciso contesto
storico-politico della Grecia antica. Dopo la sconfitta subita nella guerra
del Peloponneso, ad Atene si affermò, nel 404 a.C., il regime oligarchico e
filo-spartano dei Trenta Tiranni, capeggiato da Crizia. Sembra che Socrate
non si compromettesse con il governo, nonostante la sua opposizione a talune
scelte extra-legali del nuovo corso politico. II regime oligarchico fu
rovesciato dalla reazione popolare, e fu proprio la restaurata democrazia
che volle, nel 399 a.C., il processo del filosofo.
L'accusa ufficiale che il nuovo governo rivolgeva a Socrate - quello di
corrompere i giovani insegnando dottrine contrarie alla religione di Stato -
va posta in relazione alla fisionomia conservatrice assunta dalla rinata
democrazia. Dopo la sconfitta subita ad opera degli spartani, Atene, pur
recuperando, dopo i Trenta Tiranni, le istituzioni assembleari, guardava al
passato glorioso come ad un patrimonio da conservare e perciò tendeva a
chiudersi alle novità rivoluzionarie di ogni tipo, facendo inoltre
dell'antica religione un baluardo di coesione sociale e ideale. Di
conseguenza, un uomo come Socrate, indipendente in fatto di religione e
"spregiudicato" in filosofia, poteva apparire un elemento politicamente
pericoloso, esattamente come era sembrato ad Aristofane (e ciò spiega la
paradossale convergenza fra la rampogna "di destra", mossa da Aristofane,
con quella "di sinistra" mossa da Policrate). Tuttavia, gli studiosi attuali
tendono a considerare l'accusa ufficiale come un pretesto giuridico dietro
cui si celava un più remoto motivo di ostilità dei democratici verso il
filosofo. Infatti sembra in primo luogo che Socrate fosse fautore di un
aristocraticismo politico antitetico all'ideologia democratica teorizzata da
Protagora, e concepisse il governo come arte e competenza, da affidare a
poche persone solidamente preparate in materia. Per cui, pare che egli
criticasse aspramente talune procedure politiche della costituzione
democratica, soprattutto quelle che riconoscevano il diritto di accedere
alle cariche pubbliche per sorteggio o per elezione popolare. In secondo
luogo, come si è visto, Socrate era inequivocabilmente legato da rapporti di
amicizia con taluni esponenti di quella gioventù ultra-aristocratica di
Atene che aveva ordito il colpo di stato dei Trenta Tiranni.
3. Significati filosofici e ideali
A parte questi retroscena del processo, che nel loro insieme forniscono un
quadro sufficientemente verosimile del perché politico dell'accusa a
Socrate, la morte del filosofo, costretto a bere la velenosa cicuta, riveste
pure un alto significato ideale ed esistenziale, poiché testimonia la piena
fedeltà di Socrate a se stesso e ai suoi principi teorici. Platone, nei suoi
Dialoghi, ha magistralmente "sceneggiato" questo aspetto, presentando
Socrate come un uomo che avendo insegnato la giustizia e il rispetto delle
leggi per tutta la vita, non poteva, con una fuga, essere ingiusto verso le
leggi di Atene e smentire così, nel momento decisivo, tutta la sua opera di
maestro. Ora tale lealismo di Socrate verso la Città e le leggi affonda le
sue radici nel pensiero del filosofo, che, analogamente a Protagora, ritiene
che l'uomo sia tale solo in quanto rapporto e società, ossia che l'uomo
emerga dall'animalità primitiva e si autocostituisca come tale solo in un
contesto comunitario retto da leggi. Da questo punto di vista, dire che
l'uomo è società equivale a dire che l'uomo è tale in quanto legge, o
meglio, in quanto "figlio" delle leggi. Per cui, chi rifiuta le leggi del
proprio Stato, o della propria civiltà, cessa di essere uomo, a meno che non
accetti le leggi di un altro Stato. Le leggi si possono cambiare e
migliorare, ma non violare, poiché altrimenti verrebbe meno la vita in
società. Questa tesi fondamentale di Socrate, che farà dire a Platone che il
suo maestro, pur non essendo un politico, è stato l'unico vero politico di
Atene, ci permette di capire perché egli abbia scelto la condanna al posto
della fuga "preferendo morire, rimanendo fedele alle leggi, anziché vivere
violandole" (Senofonte).
Ma questa morte, al di là del caso specifico di Socrate e del significato
ideale che egli le diede manifesta anche il tragico soccombere
dell'intellettuale nei confronti del potere organizzato delle forze
politiche. Per questo motivo, Socrate è apparso il primo martire del
pensiero occidentale e della sua esigenza di porsi come libera ricerca, e il
suo nome, attraverso i tempi, è divenuto un esplicito atto di condanna delle
prepotenze dei politici, ed un appello alla salvaguardia dell'autonomia del
filosofo e dell'intellettuale in genere nei confronti del potere.
Le Biografie
Lo scultore:
Mark Antokolski (1843-1902)
Mark Matwejewitsch Antokolski, nato a Vilnius in lituania il 21 ottobre 1843
in una famiglia ebrea di umili origini, apprende da prima ad intagliare il
legno dimostrando interessanti doti artistiche. Entra nel 1863 all'Accademia
di San Pietroburgo come uditore e nel 1865 vi è ammesso in qualità di
studente.
Nel 1868 soggiorna brevemente a Berlino per motivi di studio per poi far
ritorno a San Pietroburgo dove realizza la celebre statua Ivan il terribile
che gli vale il titolo di Membro dell'Accademia delle Arti di Russia su
espressa richiesta dello zar Alessandro II. Successivamente alla sua nomina
a professore, alcuni problemi di salute lo costringono a trasferirsi a Roma
dove realizzerà la colossale statua di Pietro il Grande (1872) e progetterà
altri importanti opere artistiche.
Nel 1875 Antokolski fa ritorno a San Pietroburgo e una volta stabilitosi
realizza in rapida successione il Socrate morente (1876), L'ultimo sospiro
(1877) e Il capo di Giovanni Battista (1878). Nello stesso anno lo scultore
russo esibisce la maggior parte delle sue opere all'Esposizione Universale
di Parigi ottenendo il massimo riconoscimento; una giuria composta di
artisti delegati da ogni nazione gli conferiscono la medaglia d'oro.
L'importanza artistica di Antokolski in Europa è universalmente riconosciuta
proprio in virtù del premio ottenuto all'esposizione parigina.
Nel 1880 viene insignito del titolo di maestro scultore dal governatore
francese e decide di stabilirsi definitivamente a Parigi, dove realizza
alcune delle migliori prove del suo talento, tra cui Spinosa (1881),
Mephisto (1884), Yaroslav il saggio (1889).
Proprio in questi anni, a causa del peggioramento delle sue condizioni di
salute, decide di trascorrere una parte considerevole del suo tempo sulle
sponde del Lago Maggiore anche se non smetterà di produrre le proprie opere
d'arte nella capitale francese. Muore ad Amburgo nel 1902.
La donatrice della scultura:
Adelaide Maraini Pandiani (1836-1917)
Figlia di Giovanni Pandiani e di Marianna De Gasperis, Adelaide
Maraini-Pandiani è un caso singolare nel panorama artistico ticinese della
seconda metà dell'Ottocento. Nata in una famiglia milanese di scultori
(oltre al padre Giovanni, morto nel 1879, erano attivi in questo settore gli
zii Innocente, scultore ornatista, Agostino e il figlio di questi
Costantino), Adelaide Maraini-Pandiani, dopo un apprendistato nello studio
paterno, frequenta probabilmente alcuni corsi presso l'Accademia di Brera a
Milano.
Nel 1862 sposa l'ingegnere e industriale ticinese Clemente Maraini, da cui
ha due figli: Clemente, nel 1864, e Adelaide, nel 1868. Con il marito,
vicino alla sinistra radicale, si trasferisce a Roma, dove anima uno dei più
vivaci salotti culturali della capitale italiana, frequentato, tra gli
altri, dallo scrittore Carlo Dossi. Da Roma la scultrice non si allontana
più, anche se sono frequenti, specialmente durante il periodo estivo, i
soggiorni nella splendida villa in "stile pompeiano" di Lugano. Dagli scarni
dati biografici noti risulta che la scultrice fu particolarmente attiva tra
il 1870 e il 1900, periodo al quale risale la maggior parte delle sue
partecipazioni ad esposizioni: si ricorda, in particolare, la sua presenza
all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, con la prima versione
dell'opera Saffo, che destò grande entusiasmo per la sua peculiare bellezza.
Partecipa anche alle esposizioni braidensi del 1881 e del 1891, alle due
manifestazioni luganesi del 1891 (Esposizione artistica svizzera) e del 1913
(Prima esposizione di Belle Arti della Svizzera italiana) e infine alle
esposizioni nazionali svizzere del 1894 e del 1896. È probabile che dopo la
morte del marito, avvenuta nel 1905, la sua attività artistica si sia
progressivamente ridotta.
Adelaide Maraini-Pandiani muore a Roma il 23 marzo 1917.
Nell'atrio del Palazzo Civico della Città di Lugano vi è la sua notevole e
grande statua in marmo La sposa dei cantici, in cui alla perizia tecnica si
associa mirabilmente la grazia e la personale sensibilità della scultrice.
Il relatore della conferenza "Il messaggio di Socrate: l'uomo, le leggi, la
ragione":
Michele Lenoci
Michele Lenoci è vice Direttore dell'Istituto di Filosofia applicata di
Lugano. Professore ordinario di Storia della filosofia contemporanea presso
l'Università Cattolica di Milano, nella Facoltà di Scienze della formazione,
nella quale insegna anche Ontologia e metafisica, dopo aver insegnato
Filosofia teoretica. Dall'anno accademico 2002-2003 è anche Preside della
medesima Facoltà di Scienze della formazione.
È responsabile della Sezione milanese del Centro di Bioetica dell'Università
Cattolica ed è stato anche coordinatore del Dottorato di ricerca in Bioetica
presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica di Roma.
È membro della "Brentano-Gesellschaft"; fa parte del Comitato scientifico
della "Rivista di Filosofia neo-scolastica" e di "Brentano-Studien", nonché
del Comitato di Direzione della rivista "Medicina e Morale"; è componente
della Direzione di "Verifiche" e del Comitato scientifico della Collana di
Filosofia morale della Casa Editrice Vita e Pensiero; è condirettore della
Collana "Filosofia e sapere storico" dell'Editore Guida di Napoli. È stato
vice presidente della Consulta nazionale di Filosofia.
Michele Lenoci si è laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, dove è stato allievo di Sofia Vanni Rovighi e di Adriano
Bausola.
Oltre agli incarichi attuali, ha insegnato anche all'Università di Lecce. Ha
partecipato a convegni ed ha tenuto corsi di lezioni presso le Università di
Graz, Würzburg, Dallas, oltre che in diversi Atenei italiani. Ha svolto
lezioni sulla teoria della giustizia nei Corsi di formazione manageriale per
dirigenti sanitari, organizzati dall'IreF della regione Lombardia. Si è
occupato, fra l'altro, del pensiero austriaco e tedesco tra Otto e
Novecento, con particolare attenzione alla scuola di Brentano, al pensiero
di Meinong (La teoria della conoscenza in Alexius Meinong. Oggetto,
giudizio, assunzioni) e alle origini della fenomenologia husserliana,
studiando soprattutto le tematiche della critica allo psicologismo e
dell'intenzionalità (Pensiero, linguaggio, verità. La riflessione
husserliana sino alle "Ricerche logiche").
Ha approfondito anche il personalismo scheleriano e le sue applicazioni,
nonché i rapporti tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza
(Autocoscienza, valori, storicità. Studi su Meinong, Scheler, Heidegger). Si
interessa alle tematiche ontologiche nella filosofia di indirizzo analitico.
Sulla linea delle riflessioni di antropologia, ha considerato anche alcune
fondamentali questioni di bioetica, sia sul piano delle fondazioni teoriche,
sia su quello di taluni temi specifici, come il problema delle allocazioni
delle risorse in sanità o quello della bioetica di fine vita. |